Torre Velasca: un’Illusione Reale
Il grattacielo impacchettato è un trompe l’oeil
#REAL CORPORATE – Progetti
Se potesse parlare, come ogni Star che si rispetti, esclamerebbe: «Cambio look, torno in forma». Lo scorso mercoledì 6 Ottobre è iniziato il countdown per la torre rinascita costruita al centro della piazza omonima, ricoperta dalle polveri tristi dei bombardamenti del secondo dopoguerra che ancora scoppiavano in centinaia di migliaia di cuori. Lo zero zero assoluto scatterà con ogni probabilità nel 2023 ma non è detto che, come già accadde, gli eroi della nuova Velasca omaggino lo skyline con una sorpresa bis. Allora infatti lavori di costruzione durarono 292 giorni, inaspettatamente 8 giorni in meno rispetto a quanto previsto dal contratto.
Torre Velasca: il gigante con le bretelle è un’icona architettonica mondiale
È rimasta così dal 1957, freezata in quella forma simbolo che ha suscitato piccoli grandi amori ed altrettanti sentimenti d’odio e disprezzo: il “grattacielo con le bretelle”, come lo chiamano i milanesi, si è innamorato ed ha fatto perdere la testa a milioni di corteggiatori in tutto il mondo, primo fra tutti BBPR, (Banfi, Belgioioso, Peressutti e Rogers), lo studio che gli ha dato i natali e l’ha tirato grande su incarico della società committente Ri.C.E. (Ricostruzione Comparti Edilizi).
Una storia d’amore che ha interpellato anche i banchi e le scrivanie di New York, la città che infranse il sogno del gigante in vetro e acciaio (così com’era stato concepito) e lo diede in pasto al buon calcestruzzo armato con rivestimento in pietra. Da quel momento tutto andò a gonfie vele, la torre dal corpo superiore più largo di quello inferiore e con le travature oblique a sezione trilobata dell’ingegner Danusso che sporgono come braccia possenti, divenne tra ovazioni e critiche (poco importa), contemporaneamente il simbolo di una città che si rialzava fiduciosa e di ben 28 piani considerando i due interrati, consapevole di un bagaglio storico, architettonico e culturale preziosissimo da utilizzare al bisogno, o come scudo o come arma.
I suoi pensatori l’hanno fatto di proposito, Velasca deve e vuole essere un’evidente citazione dell’architettura medievale lombarda: di tutto un po’ si direbbe, il gigante ricorda la morfologia della Torre del Filarete del Castello Sforzesco riprodotta in scala aumentata ma il cemento grezzo e la pietra, da Piazza Castello per Via Dante e da Cordusio per Via dei Mercanti, strizzano l’occhio alle guglie del Duomo.
Torre Velasca, il nuovo grattacielo dalle fattezze perfette per inserirsi nel vecchio ma predominante contesto architettonico cittadino della Milano degli anni ’50. Si perchè «il valore intenzionale di quest’architettura – ha scritto Rogers – è di riassumere culturalmente l’atmosfera della città di Milano».
E fino agli anni duemila non destò altri clamori, più o meno, solo un nuovo partner la Fondiaria Sai, poi UnipolSai, che la fece interamente ristrutturare.


Torre Velasca: dal 1957 ad oggi il simbolo della ripartenza
La bomba scoppiò nel 2019 e la bandiera portava ancora i colori d’oltreoceano. Era Ottobre e l’autunno aveva già lasciato un po’ dei suoi colori su strade e marciapiedi, quando il gruppo americano Hines lanciò la cifra da capogiro con cui intendeva diventare nuova proprietaria del più iconico degli orizzonti milanesi: 220 milioni di euro.
L’inizio di una nuova era stava scalpitando e l’eco della sua prossima rinascita è risuonato forte e chiaro nei cieli su Milano intrisi del Coro delle voci bianche che, insieme all’orchestra dell’Accademia Teatro alla Scala e al violinista Giovanni Zanon, si sono esibiti un concerto-saluto sul terrazzo dell’ultimo piano lo scorso 21 Giugno. La torre emblema di una grande stagione culturale ha voluto così porgere il suo «arrivederci» alla città in un momento storico tutt’altro che spensierato:
«Siamo orgogliosi di condividere questo momento con la città di Milano — spiega Mario Abbadessa, Senior Managing Director & Country Head di Hines Italy — come segno tangibile di rinascita e ripresa e come evento che vuole dare letteralmente voce e spazio ad un’icona dell’architettura milanese, con la convinzione che segni l’inizio della ripartenza»

La torre mascherata è un’opera d’arte al quadrato
Insomma Milano mette tutto nelle sue mani ancora una volta con l’auspicio che anche la seconda, post pandemia, possa essere fortunata come la prima. E se vi state chiedendo come sarà la nuova Velasca girano poche indiscrezioni a riguardo ma il suo restyling – l’installazione della struttura in acciaio necessaria all’avviamento lavori – è iniziato col botto, anzi propriamente due: 31mila metri quadrati di ponteggio, 556mila chilogrammi di acciaio, 10mila giunti, 20mila pedane metalliche e più di 3000 tubi… che adesso sono letteralmente scomparse dietro ad un enorme telo che riveste il suo involucro integralmente, come le imperfezioni che nascondiamo sotto il vestito.
L’opera d’arte annoverata dalla storica rivista newyorkese Architectural Forum tra le più importanti e artisticamente valide del dopoguerra ha fatto di sé un’altra opera d’arte. Si è mascherata da lei e sotto un quadro dipinto che regala allo skyline la sua copia identica, un trompe l’oeil, si sta facendo bella. Ebbene, quell’abito architettonico che la “copre e non la copre” verrà calato solo a completamento lavori mentre l’immaginario collettivo riempirà l’attesa di nuove fantasie sul suo ritorno.

Hines firma la ristrutturazione della nuova Velasca
Hines ha fatto sapere di essere, insieme ad Asti Architetti – lo studio curatore del progetto – in constante dialogo con la Soprintendenza dei Beni Culturali con l’obiettivo di preservarne il prezioso patrimonio storico, artistico e culturale. Dobbiamo quindi aspettarci una cauta rigenerazione del complesso che si mostrerà in una veste sicuramente più contemporanea: il restauro conservativo interesserà l’iconica facciata dall’aspetto para-medievale che risorgerà svecchiata, pur conservando quell’unicità urbanistica dal valore ineguagliabile. Il corpo superiore su pianta più larga continuerà ad ospitare le unità adibite ad abitazioni che richiedono una maggiore profondità funzionale, mentre quello inferiore gli uffici e le attività commerciali.
Il nuovo progetto però ha in serbo delle opere di ammodernamento delle aree comuni interne all’edificio la cui destinazione seguirà le esigenze di una società che ha dovuto inevitabilmente adeguarsi alla “nuova normalità” ed è alla ricerca di nuove sicurezze; per questo Asti Architetti ha pensato di reinventare funzionalità e usi di alcune sale comuni adibendole ad incontri ed altri atri a cultura e benessere.
La maggior parte delle opere di riqualificazione però non avranno un’espansione verticale, non si vedranno quindi in cielo ma piuttosto a terra. L’ha spiegato Hines in una nota: «l’intervento coinvolgerà anche il contesto urbano circostante». A fine lavori l’intera piazza sarà esclusivamente pedonale ed ospiterà spazi verdi alternati a nuove aree commerciali che sostituiranno i vecchi parcheggi ed altre barriere architettoniche che impedivano ai suoi ospiti di viverla a 360°.
Non ci resta che aspettare e se ai più nostalgici il tempo sembrerà infinito, potranno sempre illudersi che niente nell’orizzonte è stato ancora cambiato.