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Due Chiacchiere da Biffi: Oggi come Ieri

Les Passages de Milan: la Galleria Vittorio Emanuele II

#REAL MILAN – De Milan ghe n’è domà vun


Erano i primi anni dell’ ‘800, più precisamente correva l’anno 1839 quando il filosofo Carlo Cattaneo tradusse su carta uno dei dibattiti che da tempo animavano i salotti intellettuali della città: collegare piazza Duomo e piazza della Scala. Per i più una zona di passaggio irregolare, di vecchie vie medievali intricate e sempre più trafficate, non degna della cattedrale della città. 

Fervido sostenitore del progresso e del rinnovamento, la sua penna non poteva essere che pragmatica. Con una forma mentis cosmopolita come la sua andare a Parigi e tornare con i piedi per terra improvvisando un Les Passages meneghino, doveva essere una passeggiata anzi una promenade. 

In quei tempi mettere il naso nelle faccende altrui poteva ancora portare dei benefici. Sì perchè i passagges couvertes di Parigi sorsero proprio con uno scopo preciso: isolare dai quartieri ancora inavvicinabili perchè vecchi e malsani, dalle strade trafficate e sporche, dal fango e dai cattivi odori che si alzavano nell’aria. Una Galeries per una città, pulita, chic, sfavillante, lontana dai pericoli ma soprattutto rigenerata, viva.  

Detto, fatto e riciclato: nasce la galleria commerciale icona di Milano

Il progetto vincente portava il nome dell’architetto e ingegnere emiliano Giuseppe Mengoni: in stile neo-rinascimentale è crocevia di un braccio principale, lungo 196,6 metri, che collega Piazza Duomo a Piazza della scala, e di uno più corto che entra esce dalle vie Fosco e Pellico.

Al centro l’Ottagono, ottenuto dal taglio dei quattro angoli dell’intersezione e sopra lei, incastonata in 353 tonnellate di ferro compresa la tettoia di copertura, la signora cupola in vetro rigato alta 47 metri (apice). 

La nuova via, la Galleria Vittorio Emanuele II, giunse al suo ultimo mattone nel 1877 ma fu la prima pietra a valergli l’onore e l’onere di titolo regio. Probabilmente per via dello scalpore diffuso della ritrovata indipendenza dall’Austria o una tattica della giunta comunale che sperava in questo modo di ottenere più facilmente i permessi di espropriazione necessari all’opera, allora ottenibili solo per decreto reale; una cosa è certa, del suo pensatore ci sono i grandi disegni e nulla più. Pochi giorni prima dell’inaugurazione Mengoni cadde dalla cupola, fatalità o suicidio resta oggi una domanda dalla dubbia risposta. 

Ma di lì a poco, si riempì di caffè, parole e pensieri nuovi.

La sua posizione strategica gli valse un secondo titolo, il “salotto di Milano” e mai un salotto a “cielo aperto”, nella sua accezione di ambiente riservato alla conversazione, al diletto, agli ospiti, ai rinfreschi, fu tanto frequentato.

Di lei infatti non si evoca solo la bellezza, da lei si assaporano le storie di vita borghese, di attori e artisti, di personaggi illustri che per il dopo-teatro alla Scala e al Manzoni, si fermavano per due chiacchiere allegre davanti a un buon caffè o si lasciavano intrattenere dalle vetrine splendenti delle nuove ed eleganti boutique.

Tutto risuonava all’unisono. Dagli allestimenti delle vetrine agli interni dei negozi, dagli arredi di design che dovevano impreziosire i salotti dei caffè alla selezione delle poltrone da tè e dei sofà dei letterati. Dai quadri ai mosaici di artisti dal calibro di D’Andrea. Dai lampadari di lusso dell’artista-fabbro Muzzucotelli ai banconi in legno pregiato dell’ebanista Quarti, ogni dettaglio era importante per mantenere in auge l’eleganza di questo bijou di vita mondana aristocratica.

Oggi come ieri è tanta la classe in Galleria: non passano di certo inosservate le insegne degli esercizi vestite d’oro su uno sfondo nero. Esatto, perfino le insegne avevano/hanno un dress code. 

Ma non vi siete mai chiesti dove scoprire la vera essenza di una città e delle sue grandi bellezze, dove toccare e gustare lo spirito di una città e dei suoi abitanti? Le “cose” da vedere non si fermano ad una cartina di monumenti, musei, edifici, c’è tanto oltre.

Chiamomolo, il suo viveur.

In galleria si vive di caffè storici

Il viveur, anzi i viveur in Galleria hanno un nome, una storia e lo stesso indirizzo: i caffè storici, Camparino, Savini, Biffi. Icone di un palcoscenico fuori-teatro del tutto improvvisato, portano in scena la Storia di Milano per i personaggi celebri che li hanno frequentati, rendendoli di fatto tali, “storici”.

In perfetto stile Liberty: benvenuti al Camparino

Al Camparino in perfetto stile Liberty, Re Umberto I ed Edoardo VII d’Inghilterra bevevano al banco il Bitter e un attimo dopo si perdevano nell’Ottagono disquisendo sull’allegorico quartetto d’archi, l’Europa, l’America, l’Asia, l’Africa, dipinti in cima alle lunette che si affacciano sui quattro angoli.

E poi si trattenevano Verdi e Arturo Toscanini, Puccini e Boito che, per il post-spettacolo si godevano un momento di intimità con la città che li aveva creati. È chissà se anche loro hanno omaggiato la tradizione del toro, almeno una volta. In fondo nessuno può esimersi dal praticare improbabili giravolte, in equilibrio su un tacco solo, sulle palle del toro, uno stemma sul pavimento sotto la cupola rappresentante la città di Torino.

Un classico gesto scaramantico dell’antica tradizione milanese. 

Eleonora Duse, Herny Ford e Heminghway: il Rattin da Savini

Molto probabilmente quando nel 1881 Virgilio Savini rilevava la Birreria Stocker, ribattezzandola con il suo omonimo, non avrebbe mai immaginato di ospitare nel suo salotto esclusivo e raffinato tanti clienti illustri. Eleonora Duse, lo stesso Verdi, il D’Annunzio, Heminghway e Herny Ford, tutte personalità di spicco che avranno “fatto serata” tra battute, pensieri e del buon vino.

E quando il sole restava alto fino alle ore più tarde fischiavano insieme annunciando il Rattin, la cerimonia di accensioni dei candelabri a fiamma libera posti in corrispondenza della base della cupola. Milano aveva inaugurato la “madre” di tutte le gallerie commerciali ma non ancora la sua prima centrale elettrica; dovete capire che un luogo tanto meraviglioso doveva mantenere la sua magia anche di sera ed è così che comparve il topolino. Il Rattin appunto, altro non era se non una rotaia alla base della cupola sulla quale scorreva un “trenino” con un tampone infuocato (la coda infuocata) che, percorrendo l’anello, avrebbe acceso tutti gli ugelli. 

Il Panettone di Milano è firmato Biffi in Galleria

Dal Biffi in Galleria (1852) è una storia iniziata tra i panettoni che imbandivano le tavole reali dei Savoia o dell’eroe Garibaldi e il brusio di un vociferare conviviale dell’aristocrazia industriale milanese spesso fino a tardissima sera. Nell’Ottagono, sotto l’affresco dell’Africa di Pogliano, occupava diverse vetrine della Galleria e un primo piano con eleganti vetrate che al signor Paolo Biffi costavano un’affitto di 30 mila lire annue. Del resto non era da tutti maritare 10 figlie tutte in galleria ed essere il primo locale a dotarsi di luce elettrica nel 1882. 

Da fuori passanti curiosi origliavano i discorsi intavolati dalle famiglie Falck, Melzi D’Eril, dei Belgiojoso, dei Visconti e dei Treccani. Il menù della casa offriva le più conosciute tra le specialità della città lombarda, l’ossobuco con il risotto alla milanese e la sua Coteletta panata. Tra il primo e il secondo gli uomini stilavano la lista dei to do, pianificavano appuntamenti e brillavano per il loro savoir faire, mentre le donne si davano consigli sui look da indossare per gli eventi in agenda perdendosi ancora nelle vetrine illuminate dei negozi di fronte, tra gli eleganti cappelli di Borsallino, le Borse e i Bauli di Louis Vitton e le ultime tendenze di Prada.

Atmosfere calde e contagiose che ancora oggi avvolgono passanti e turisti incantati da quelle insegne nere-oro che hanno dato un volto alla Galleria, perchè oltre l’architettonico c’è di più. 

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